InfoCert, l’evoluzione digital trust

InfoCert, l’evoluzione digital trust

Dalla dematerializzazione al ridisegno dei processi di gestione documentale. Il boom delle identità digitali. Scuola, lavoro, sanità, imprese verso un futuro più digital e “trusted”. L’AD Danilo Cattaneo: «Con il lavoro da remoto, raggiunti in due mesi risultati per i quali sarebbero serviti 30 anni»

Sono tante le lezioni che la pandemia ci ha imposto. Tra queste, l’evidenza che senza una solida infrastruttura tecnologica di fondo, non vi è servizio che tenga. E, ancora più evidente, la scalabilità delle risorse deve essere accompagnata da una forte valenza del “digital trust”, ossia la “fiducia digitale” non solo verso operazioni che un tempo svolgevamo fisicamente in qualche ufficio e di cui oggi invece fruiamo online, ma soprattutto la “fiducia” riposta in un’organizzazione o in provider di servizi nel raccogliere, archiviare o utilizzare le informazioni digitali di terzi in modo da avvantaggiare o proteggere coloro a cui appartengono le informazioni. I vari lockdown generalizzati hanno sicuramente dimostrato la resilienza di tante imprese nel sapersi adattare velocemente alla nuova normalità ma anche un bel po’ di situazioni critiche, dove attività giornaliere si sono bloccate. InfoCert, leader del mercato italiano nei servizi di digitalizzazione e dematerializzazione nonché una delle principali Certification Authority a livello europeo, era già ben preparata a un simile scenario, che la crisi sanitaria non ha fatto altro che accelerare.

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«Usciamo da una fase che ha visto trasformare in maniera significativa una serie di rapporti, oggi basati esclusivamente sull’online» – ci racconta Danilo Cattaneo, amministratore delegato di InfoCert. «Le scuole, con la didattica a distanza, in poche settimane, hanno digitalizzato l’insegnamento, così come il remote working ha permesso a milioni di persone di continuare a lavorare lontani dall’ufficio». Un dato su tutti vale la pena citare: fino al 2020, il panorama di quello che impropriamente viene chiamato smart working, cresceva in Italia di circa 19mila unità all’anno. A inizio 2020, erano 570mila i remote worker italiani, divenuti 7 milioni due mesi dopo, secondo i dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano. «Ci sarebbero voluti 300 anni per raggiungere un numero del genere, se si fosse andati avanti con il trend pre-Covid» – prosegue Cattaneo. «Questo fa ben intendere come si sia fatta di necessità virtù, con le aziende già pronte che nel giro di poco hanno convertito i loro sistemi e le altre che, ovviamente, hanno dovuto compiere uno sforzo maggiore».

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Il boom delle identità digitali

Dalle primissime settimane dell’emergenza, InfoCert è scesa in campo per dotare le aziende delle zone rosse di tutti gli strumenti necessari alla continuità del business. Ma non solo: due delle principali piattaforme su cui il gruppo lavora da tempo, e per le quali ha ottenuto una rinomanza oramai internazionale, hanno finalmente espresso il loro potenziale, come mai prima d’ora. «Molti conoscono InfoCert per gli ambiti principali di PEC, SPID e della firma digitale. Tutte, anche per volontà del Governo italiano hanno rappresentato un vettore di abilitazione per numerosi processi di interazione tra pubblico e privato. Pensiamo alle richieste per i vari bonus e, in generale, per accedere a tutta quella documentazione di cui oggi si può beneficiare in formato digitale e non solo più cartaceo, con un risparmio di costi sotto tanti aspetti».

Emerge sempre più dirompente il concetto di dematerializzazione, di cui da quasi un decennio numerose aziende si fanno portatrici e che, in ottica di riduzione degli spostamenti e di contatto, è divenuto motore inarrestabile di ottimizzazione economica. Sono oltre 600 milioni le transazioni digitali gestite ogni anno, con InfoCert che arriva ad abilitare 70 grandi soggetti finanziari, e non solo, al cosiddetto “digital onboarding”, la possibilità di acquisire un nuovo cliente da remoto, con pieno valore legale. Al pari delle grandi banche, il digital onboarding interessa oramai anche istituti di credito al consumo, utility e telco.

I vantaggi del “new normal”

La situazione odierna è in un certo senso ibrida. Continuiamo a svolgere tante attività da casa, a preferire le piattaforme online anche per richiedere il ritiro di un pacco o per la consegna di merce che prima compravamo in negozio. Si tratta di flussi che ricadono all’interno di settori industriali differenti, senza una grossa distinzione per l’utente finale. Accedere a un sito web della banca non è poi così diverso dall’e-commerce o dal proprio fascicolo sanitario. Ancora una volta, assume un ruolo fondante quello della fiducia digitale. «Non possiamo pensare a un ritorno tout-court alle modalità di lavoro precedenti la pandemia» – prosegue l’AD di InfoCert. «I vantaggi della nuova normalità sono sotto gli occhi di tutti e, soprattutto dal punto di vista del business, aprono strade inattese. E questo vale per qualsiasi altro tipo di azienda. L’opportunità di firmare un documento stando lontani rompe di fatto gli schemi precedenti, diluendo le metriche di spazio e tempo, organizzando diversamente l’operatività o adattandola a seconda del contesto. Firmare e autenticare un certificato, da remoto, resterà nel nostro modo di fare, e il Governo italiano ha ben inteso tali opportunità, che peraltro sono già pienamente valide e riconosciute all’estero». Un esempio che Danilo Cattaneo ci porta è quello dei consigli di amministrazione che, prima della pandemia, erano obbligati a svolgersi per delega. Con una legge del marzo 2020, ancora valida, la digitalizzazione entra prepotentemente anche in tali ambiti, sintomo di come l’Italia si sia mossa abbastanza velocemente nell’adattarsi al nuovo contesto.

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Il motore dell’innovazione

Da sempre InfoCert dedica il 6% del proprio fatturato alla Ricerca & Sviluppo. Questo le permette, in un certo senso, di anticipare il futuro, o comunque di rispondere con versatilità a crisi che possono verificarsi nei processi dei loro clienti. Basti pensare che nell’aprile del 2021 il gruppo ha rilasciato la versione 5 di GoSign, evoluzione di Dike, utilizzato da milioni di persone non solo per firmare i documenti ma anche per organizzare i workflow di firma e processi che, anziché con raccomandate, oggi si svolgono in digitale. «Siamo riusciti, soprattutto in Italia, a garantire la trasformazione dei nostri clienti, aggiornando i prodotti in portafoglio con importanti novità, particolarmente utili in questo periodo».

Un futuro più digital e “trusted”

Il lavoro di InfoCert nel processo di digital transformation delle imprese italiane, con un occhio dedicato alla pubblica amministrazione, non si ferma. Entro fine giugno, un importante caso da aggiungere ai tanti precedenti. «Una delle principali amministrazioni italiane a livello centrale vedrà la completa digitalizzazione dei suoi sportelli, una vera rivoluzione per il settore» – sottolinea Cattaneo. «Questo permette al panorama nazionale di compiere un bel salto in avanti, nei termini di innovazione dei servizi verso i cittadini. Nello specifico: ci si potrà prenotare da una finestra web per una determinata operazione, da eseguire online, con operatore. Una novità che riguarda gli utenti ma anche i dipendenti, che non solo potranno continuare a svolgere le proprie mansioni fuori dall’ufficio, quando e se richiesto, ma anche di ridurre il rapporto con il pubblico, fin quando questo sarà consigliato per il mantenimento della salute e il contenimento del contagio». Lavorare con la Pubblica Amministrazione centrale e locale è sempre sfidante. Nel merito del progetto menzionato dall’AD Danilo Cattaneo, l’iniziativa prende in considerazione due aspetti: informativo e dispositivo. Il primo è fondamentale per avere la certezza dell’utente che c’è dall’altra parte. Il secondo, utilizzando un’evoluzione dello strumento di digital onboading, consente di dare anche agli utenti privi delle credenziali SPID o di una carta di identità elettronica (CIE), la possibilità di farsi “riconoscere”, per concordare una qualsiasi operazione che necessita di autenticazione: tutto in digitale.

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«Un modo ulteriore per mettere davvero a frutto il Sistema Pubblico di Identità Digitale che, disponibile oramai da anni, arrivava al numero di 5 milioni di attivazioni a marzo 2020. Evidentemente, in termini nazionali globali, la fetta da raggiungere era ancora ampia. Eppure, dopo oltre 16 mesi dallo scoppio della pandemia, le 20 milioni di identità digitali in Italia ci rendono, in valore assoluto, la prima nazione in Europa. I paesi del Nord, come Norvegia e Svezia, sono più in avanti in valore percentuale sul totale dei cittadini ma se riusciamo a mantenere il trend, il futuro che ci attende è sicuramente più digital».