L’innovazione crea o distrugge occupazione?

Il mercato degli Analytics nel 2016 in Italia è cresciuto del 15%, raggiungendo un valore complessivo di 905 milioni di euro: gli investimenti più ingenti sono stati fatti nella BI (722 milioni, +9% sul 2015), i Big Data hanno registrato la crescita maggiore (183 milioni, +44%).

Questi numeri, tratti dall’ultima ricerca dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence della School Management del Politecnico di Milano, sono destinati a crescere: il 39% dei 950 CIO coinvolti nel survey ha dichiarato che Business Intelligence, Big Data e Analytics sono la priorità di investimento nel 2017 per l’innovazione digitale. Inoltre, soltanto l’otto per cento delle grandi imprese ha dichiarato di trovarsi a buon punto nel processo di trasformazione da aziende tradizionali a “Big Data Enterprise” a fronte di un 26% che si dice ancora allo stadio iniziale del processo.

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Le priorità di business nell’utilizzo dei Big Data sono la necessità di diventare customer centric e la necessità di ottimizzare la Operational Efficiency. La recente IDC Digital Trasformation Survey indica, come ulteriori esigenze delle aziende italiane nell’adozione dei Big Data, lo sviluppo di competenze digitali, la definizione di una visione strategica in grado di portare vantaggi competitivi, la ricerca di cooperazione tra dipartimenti, team e ruoli aziendali.

I Big Data stanno guidando il cambiamento anche nell’Internet delle Cose (IoT), interconnessione tra macchine intelligenti, dispositivi, sensori e persone. L’integrazione tra Intelligenza Artificiale e Big Data porterà, nel giro di pochi anni, a un’automazione fino a oggi realizzata solo in prototipi, o in pochi dispositivi. Il CES di Las Vegas, a inizio anno, ha mostrato che il futuro è già qui: case in grado di comunicare crepe e perdite d’acqua, auto senza guidatore, capaci di fornire dati su veicolo, motore, stile di guida e condizioni ambientali, condizionatori che capiscono quali punti della casa devono essere rinfrescati di più, frigoriferi in grado di comunicare le date di scadenza dei prodotti al loro interno, o dotati di una telecamera wireless all’interno per poterne vedere il contenuto, anche non essendo in casa, o capaci di rifornirsi in autonomia, attraverso il servizio Dash di Amazon.

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Proprio l’utilizzo degli Analytics sui Big Data generati dagli oggetti connessi contribuirà a massimizzare i benefici dell’IoT per individui e per imprese pubbliche e private. Saranno davvero benefici per tutti? Secondo qualcuno, c’è un rovescio della medaglia: il Financial Times sostiene che, nei prossimi 20 anni, l’evoluzione tecnologica, cioè algoritmi sempre più intelligenti, auto elettriche o senza guidatore, stampanti 3D, ridurranno, fino quasi a far sparire, il numero di consulenti finanziari, agenti di viaggio, meccanici di officine auto, venditori di polizze RC Auto, produttori di componenti industriali. Secondo l’OCSE, invece, la nuova rivoluzione industriale non causerà disastri occupazionali.

McKinskey poco più di un anno fa addirittura parlava di 2,6 posti di lavoro a contenuto tecnologico elevato creati per ogni posto di lavoro tradizionale distrutto dalla tecnologia stessa. Una diatriba, tra allarmisti e ottimisti, nata assieme alla prima rivoluzione industriale. Di certo, la digitalizzazione stimolerà la creazione di molti nuovi posti di lavoro più qualificati a scapito di mansioni rimpiazzabili in tutto o in parte dalle macchine intelligenti: solo con il tempo potremo verificare se il saldo finale globale sarà positivo.